Poliomielite: l'Europa a rischio epidemico
Un focolaio epidemico di poliomielite causato in Siria dal Wild-type poliovirus di tipo 1 (WPV1) e confermato dall'Oms potrebbe propagarsi alle regioni confinanti, Europa compresa. Non è un film di fantascienza, ma il concreto avvertimento su The Lancet di due infettivologi tedeschi: Martin Eichner dell'Università di Tubinga e Stefan Brockmann dell’Ufficio regionale di sanità pubblica di Reutlingen. «Molti paesi europei usano il vaccino antipolio inattivato (Ipv) al posto della vaccinazione antipolio orale (Opv) interrotta in Europa dopo rari casi di paralisi flaccida acuta (AFP), il sintomo principale della poliomielite» spiegano i ricercatori. L’Ipv, peraltro molto efficace nel prevenire la malattia, fornisce solo una protezione parziale. E in Europa, dove la polio è stata eliminata da decenni, la trasmissione del virus può essere evitata solo se la copertura vaccinale con Ipv resta alta in presenza di elevati standard igienici uniti a un basso affollamento. Ma ci sono sacche di popolazione a elevato rischio: si stima che 12 milioni di persone sotto i 29 anni non siano vaccinate o non abbiano completato la vaccinazione, che prevede tre iniezioni. «E dato il gran numero di profughi dalla Siria che cercano rifugio nei paesi europei confinanti dove la copertura vaccinale è bassa, come Bosnia-Erzegovina, Ucraina e Austria, l’immunità di gregge della popolazione può essere insufficiente a prevenire la trasmissione se il virus viene reintrodotto in comunità. Inoltre, dato che WPV1 causa AFP solo in un caso su 200, gli autori calcolano che il virus potrebbe essere in circolazione già da quasi un anno prima della comparsa del caso iniziale che permette di rilevare l’epidemia. «Vaccinare solo i profughi siriani, come raccomandato dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, potrebbe rivelarsi insufficiente» dicono i due esperti, raccomandando misure più incisive come la reintroduzione dell’antipolio orale. «Ma solo alcuni stati membri dell'Unione Europea ne consentono l’uso e non sono disponibili riserve» puntualizzano Eichner e Brockmann. E concludono: «Dato che le persone infette eliminano grandi quantità di particelle virali con le feci, lo screening delle acque reflue dovrebbe essere intensificato, specie negli insediamenti con un gran numero di profughi siriani».
The Lancet, Early Online Publication, 8 November 2013