L'enuresi in età scolare

09.09.2012 14:48

 

Parlare di enuresi cioè di mancato controllo della funzione vescicale e trattare questa problematica nel bambino dell’età scolare, si propone due obiettivi che sono anche le motivazioni di questo articolo: la gestione globale, di una condizione da non ritenersi una malattia, ma un disturbo del bambino che spesso è anche della famiglia, in un’età in cui la maggior parte dei soggetti ha raggiunto la “padronanza” minzionale, ed affrontarlo e risolverlo in quel momento delicato della vita del bambino che coincide con l’ingresso nella scuola e che può rappresentare un “problema in più”, per l’enuretico.

La normale continenza urinaria presuppone la maturazione neurologica del sistema nervoso centrale, dei centri e delle vie nervose del midollo spinale e dei fasci nervosi che raggiungono la vescica. Il controllo della minzione diurna è, in genere, raggiunto prima di quella notturna ed è completo attorno ai 4-5 anni di età. Quando si parla di enuresi di solito ci si riferisce a quella notturna che, in base alle modalità di insorgenza, si distingue in “enuresi primaria”, quando il bambino non ha mai raggiunto la continenza notturna ed in “enuresi secondaria” se l’enuresi fa seguito ad un controllo, sia pure temporaneo, di 3-6 mesi della minzione notturna. L’enuresi secondaria può insorgere in seguito ad un evento vissuto come drammatico, quale la  nascita di un fratellino, la separazione dei genitori o un cambiamento nella vita sociale del bambino, oppure si può verificare in seguito ad una pregressa infezione delle vie urinarie o essere la spia di una infezione in atto. Per questo motivo va sempre eseguito l’esame delle urine e va consigliata una ecografia  renale, nel caso in cui l’enuresi si associ ad incontinenza diurna, per escludere la presenza di una anomalia strutturale delle vie urinarie(completare con l’ indagine urodinamica se l’ecografia è positiva). Un’altra condizione da considerare  è la stipsi cronica: un colon distale ripieno di feci può limitare per compressione la capacità vescicale ed essere responsabile di enuresi secondaria.

 L’enuresi primaria, condizione più frequente, interessa il 10% dei bambini all’età di 5 anni, ha una maggiore prevalenza nel sesso maschile e riconosce una predisposizione familiare, essendo presente a 6 anni, nel 40% dei figli se un genitore era affetto e nel 70% se entrambi i genitori  ne soffrivano in gioventù. Dal punto di vista delle cause, bisogna distinguere una “enuresi monosintomatica” da una “enuresi non monosintomatica”, quando sono presenti anche disturbi disfunzionali vescicali durante il giorno come, difficoltà a trattenere le urine a vescica non piena, minzioni frequenti, gocciolamento con involontario bagnarsi le mutandine, urgenza e mantenimento di posizione “coatta” nel tentativo forzato di trattenere la minzione (accovacciamento), che devono indirizzare verso un disturbo più complesso, più frequente nelle bambine(“vescica neurologica” o “instabilità detrusoriale”).

Nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte ad una enuresi primaria monosintomatica in cui non sono individuabili cause infiammatorie, anatomiche o neurologiche. Allora da cosa è sostenuto tale disturbo? Dopo una serie di ipotesi patogenetiche che hanno, ormai, solo importanza storica, dalla metà degli anni ottanta, si sono individuate una serie di cause determinanti. I fattori responsabili della forma monosintomatica di enuresi sono: una più elevata produzione di urina durante la notte, a cui si associa spesso una vescica piccola che non è in grado di trattenere tutta l’urina prodotta e la minore secrezione di vasopressina o ormone antidiuretico per mancanza del picco di secrezione notturno. Inoltre alcuni bambini avrebbero un disturbo del sonno caratterizzato da un’apparente maggiore profondità con difficoltà a svegliarsi per urinare ma anche un riposo meno fisiologico ed irregolare con conseguente scarsa concentrazione e sonnolenza diurna. Infine, tra gli enuretici, sono presenti bambini, con familiarità per calcolosi renale, definiti ipercalciurici, che hanno una maggiore eliminazione di calcio con le urine e di conseguenza sono poliurici cioè producono una maggiore quantità di urina.

Quali, allora, i consigli da dare ai genitori di un bambino che bagna molto spesso il letto? Prima di tutto non sottovalutare il problema pensando che si risolva con la crescita(come è avvenuto per uno dei genitori), perché questo non è la regola(l’1% degli enuretici rimane tale in età adulta), poi affrontarlo al più presto, dopo il compimento del quinto anno, per evitare che il disturbo  persista fino all’adolescenza e convivere con l’enuresi per anni comporta la perdita di quell’autostima che va preservata e sostenuta se non si vogliono mantenere e potenziare, con il classico circolo vizioso, quei meccanismi psicologici secondari spesso presenti. Può, infine, essere utile evitare a cena i cibi salati e ricchi di calcio che aumentano la produzione di urina e non bere più un’ora prima di andare a letto. Bisogna, invece, bere molto durante il giorno, dalle 8,00 alle 18,00(fino ad un litro e mezzo d’acqua), per stimolare la funzione emuntoria dei reni ed educare il bambino a svuotare regolarmente la vescica.   

Il trattamento dell’enuresi notturna ha subito una evoluzione allo stesso modo di come è cambiata negli anni la sua patogenesi. La scuola americana ha portato avanti per anni un trattamento non farmacologico che consisteva nell’allertare il bambino all’inizio della sua enuresi con un allarme sonoro. Questa tecnica di condizionamento consisteva nel fissare sul bambino un congegno elettronico che, attraverso una sonda collegata alle mutandine, faceva scattare un allarme sonoro non appena uscivano le prime gocce di urina. Il bambino si svegliava e doveva andare in bagno per completare la minzione. Con questa tecnica, dopo circa 6 mesi, il 70% dei bambini restava asciutto la notte, o perché si abituava a svegliarsi quando la vescica era piena, o perché diventavano in grado di dormire tutta la notte senza bisogno di urinare.

Una terapia farmacologica utilizzata anche in Italia, faceva uso di un antidepressivo triciclico, l’imipramina, somministrato al bambino la sera un’ora prima di andare a letto. La dose, di 25 mg., poteva essere aumentata, in caso di iniziale insuccesso, a 50 mg. nel bambino sotto i 12 anni e fino a 75 mg. in quello più grande. L’efficacia del farmaco(50% di risposta positiva) si verificava, però, solo durante il trattamento, con una percentuale elevata, fino al 90% di recidiva, alla sospensione del farmaco. Per la frequenza degli effetti collaterali e per il rischio, sempre possibile, di overdose accidentale con aritmia fatale, il farmaco fu abbandonato.

Ormai da molti anni si adopera una nuova terapia farmacologica, di comprovata efficacia e sicurezza, che consiste nell’utilizzare l’analogo sintetico della vasopressina, la desmopressina. Questo farmaco, somministrabile senz’acqua per via sublinguale al momento di coricarsi, alla dose iniziale di 0,2 mg., può essere adattato alla risposta clinica, aumentandone la dose a 0,4-0,6 mg., se necessario. La desmopressina riduce, da subito, il numero di episodi enuretici per settimana ma, perché si raggiunga l’obiettivo di un lungo periodo di notti asciutte, deve essere adattata al singolo bambino e mantenuta per un periodo sufficientemente lungo per interrompere definitivamente tutti i meccanismi che sono alla base del disturbo e, cosa molto importante, per ricostruire e consolidare quell’autostima del bambino molto spesso compromessa. La possibilità di ricorrere a “cicli di richiamo” in caso di recidiva senza alcun rischio, dimostra, tra l’altro, la grande maneggevolezza del farmaco.