L'allergia alimentare in età pediatrica

11.04.2014 16:02


Ritenersi allergico o intollerante verso qualche alimento è evenienza abbastanza comune. Si calcola, infatti, che questa convinzione sia presente nel 25% degli individui, anche se in realtà la prevalenza dei disturbi legati ad una allergia alimentare è molto inferiore e va dal 2 all'8% nei bambini piccoli e fino a meno del 2% nell'adulto. L'obiettività di questo dato, d'altra parte, potrebbe sorprenderci se pensiamo alla grande variabilità di alimenti che ingeriamo nella nostra vita, alla mole di sostanze utilizzate dall'industria alimentare per il confezionamento e la conservazione dei cibi e perfino alla loro genuinità. Questo accade per la grande adattabilità del nostro sistema immunitario nei confronti dell' alimento che, come qualsiasi altra sostanza estranea introdotta nell'organismo, subisce un processo biochimico fisiologico che comporta la sua totale tolleranza destinata  a durare, in teoria, tutta la vita. Se ciò non si verifica, l'alimento, una volta reintrodotto nella dieta, scatena la sintomatologia descritta di seguito.

Gli alimenti maggiormente responsabili di allergia alimentare in età pediatrica sono, in ordine di frequenza, il latte vaccino, l'uovo, il pesce e il grano, responsabili di circa il 90% delle reazioni.

I sintomi dovuti ad una reazione allergica IgE-mediata, avvengono da pochi minuti a 2 ore dopo l'ingestione dell'alimento. Possono essere localizzati all'orofaringe o al tratto gastrointestinale, o essere sistemici ed interessare la cute, il tratto respiratorio o dare, nei casi più severi, un quadro di shock.

Tra le forme IgE-mediate più comuni annoveriamo la Sindrome orale allergica in cui il contatto di alimenti, in particolare frutta fresca e verdure, con la mucosa orale provoca, dopo pochi secondi, prurito ed edema del cavo orale e dell'orofaringe. Questi alimenti hanno una sensibilità crociata con alcuni aeroallergeni(graminacee con pomodoro crudo, grano, patate, arachidi, betullacee con patate, carote, sedano, mele, pere, nocciole e kiwi).
I soggetti colpiti possono essere affetti da rinite allergica.

Nella Sindrome orticaria-angioedema lesioni orticarioidi possono comparire sulla cute dopo pochi minuti dall'ingestione dell'alimento, associate o meno ad angioedema al volto, alle mani o ai genitali. Esiste anche una orticaria da contatto e in questo caso l'alimento può anche essere tollerato dopo ingestione.

Prurito, lacrimazione, iperemia congiuntivale associati a congestione nasale, rinorrea acquosa e starnutazione, cioè una rinocongiuntivite allergica, possono rappresentare la reazione isolata dopo ingestione di un alimento, ma, più spesso, sono i sintomi di una reazione più generale dell'organismo.

In casi meno frequenti ma più gravi si può verificare una reazione anafilattica. Gli alimenti sono la causa più frequente di anafilassi in età pediatrica. Il termine anafilassi si riferisce ad una reazione immediata all'ingestione di un alimento che attraverso una difficoltà respiratoria acuta(edema laringeo, asma) e una marcata ipotensione(collasso, perdita di coscienza), può mettere in pericolo la vita del paziente. I segni precoci di allarme sono: il prurito, l'eritema improvviso del volto, l'edema al volto e all'orofaringe, i crampi addominali, la tosse, lo stridore e i sibili.

La dermatite atopica ha una patogenesi complessa in cui può entrare anche l'allergia alimentare. Una dieta di esclusione andrebbe però riservata a casi selezionati, certamente i più gravi e con altri sintomi addebitabili all'allergia alimentare.

Anche l'asma, come la rinite allergica, si presenta raramente come manifestazione isolata di allergia alimentare, ma è un sintomo che più spesso si osserva durante le reazioni sistemiche gravi. L'allergia alimentare dovrebbe essere sospettata come causa di broncospasmo solo in quei pazienti con una storia di asma refrattario alla terapia e/o con storia clinica di dermatite atopica e/o di allergia alimentare.

Tra le manifestazioni allergiche alimentari da meccanismo non IgE-mediato ricordiamo l'enterocolite indotta da proteine alimentari che deve essere sospettata quando in un lattante la somministrazione di un alimento(latte, soia, uovo, pesce), è seguita, dopo 1-3 ore, da vomito ripetuto, diarrea e non raramente disidratazione. Nelle feci si ritrova la presenza di sangue occulto, neutrofili, eosinofili. La ricerca delle IgE specifiche è negativa, la proctocolite indotta da proteine alimentari, tipica dei primi mesi di vita, secondaria all'uso di latte vaccino o di soia, caratterizzata da ematochezia(sangue nelle feci) macro o microscopica e raramente da diarrea. Il b. affetto appare in buone condizioni generali e con una crescita ponderale buona. Le lesioni istologiche sono confinate al colon distale  e l' enteropatia indotta da proteine alimentari che si presenta nei primi mesi di vita con diarrea e scarso accrescimento. Vi è steatorrea(mancato assorbimento dei grassi) ed un ridotto assorbimento dei carboidrati. L'allergia al latte vaccino è la causa più frequente. All'endoscopia si evidenziano aree di atrofia dei villi intestinali ma la compromissione è meno severa che nella celiachia.

La diagnosi di allergia alimentare è lunga e dispendiosa in termini di energie e costi economici perché non esiste un test che consenta da solo di emettere una diagnosi definitiva. Spesso il solo dialogo con i genitori del b. aiuta ad escludere(piuttosto che confermare) un'allergia alimentare. A volte l'alimento sospetto viene suggerito dalla famiglia(più spesso nelle forme IgE-mediate). Nei casi dubbi i tests diagnostici, insieme alla storia clinica, possono essere utili per cercare di individuare un numero limitato di alimenti. Successivamente, salvo limitate e codificate eccezioni, si rende obbligatoria l'esecuzione della dieta di eliminazione che deve essere rigorosa e possibilmente mirata verso uno o pochi alimenti. Un periodo di dieta di 2 settimane è abitualmente sufficiente, ma un periodo più prolungato può essere necessario nei casi di dermatite atopica e nei quadri clinici intestinali non IgE-mediati. La dieta deve portare alla scomparsa o alla significativa riduzione dei sintomi. Il passo finale è rappresentato dalla reintroduzione dell'alimento o degli alimenti offendenti nella dieta( il TPO, test di provocazione orale), e la diagnosi è confermata se i sintomi ricompaiono.

I prick tests rappresentano un metodo rapido e poco invasivo per determinare la presenza o meno di IgE specifiche verso gli antigeni alimentari. La positività del test consente di diagnosticare solo una sensibilizzazione su base IgE-mediata, non una effettiva reazione clinica a seguito dell'ingestione dell'alimento in causa(e ciò vale allo stesso modo per il RAST). La ricerca delle IgE specifiche ha pertanto uno scarso Valore Predittivo Positivo(VPP) ed il sospetto diagnostico deve essere confermato con la dieta di eliminazione e successivo TPO. Quest'ultimo è sconsigliato solo nei casi di reazione anafilattica di grado moderato correlata all'ingestione dell'alimento in questione. Al contrario la negatività di un prick test esclude il rischio di reazioni IgE-mediate verso quell'alimento, la ricerca delle IgE specifiche ha cioè un buon Valore Predittivo Negativo(VPN) con 2 sole eccezioni: i b. sotto l'anno di età possono avere un'allergia IgE-mediata con prick negativi e negativi possono risultare i prick test eseguiti con estratti commerciali di alimenti quali frutta e verdura a causa della elevata labilità degli estratti allergenici degli alimenti vegetali. In questi casi è più sicuro ricorrere al prick-by-prick con l'alimento fresco.

Il dosaggio delle IgE specifiche nel siero cioè il RAST da informazioni comparabili con quelle dei prick tests, ma è più invasivo, richiede più tempo per la risposta ed ha un costo più elevato. E' raccomandato, invece del prick test, nelle seguenti condizioni:

  • particolare iperreattività cutanea(dermatografismo importante);
  • malattia cutanea severa ed estesa;
  • impossibilità all'interruzione della terapia con antistaminici,

che sono condizioni che interferiscono con il risultato dei prick tests. Una volta raggiunta la remissione dei sintomi o il netto miglioramento con la dieta di esclusione, è necessario avvalersi per una diagnosi corretta del TPO che rappresenta il gold standard diagnostico. Il TPO ideale è quello in doppio cieco controllato con placebo. Solo sotto i 3 anni può essere utilizzato il TPO in aperto perché si ritiene che sotto questa età la simulazione per suggestione sia improbabile. Si considera positivo un TPO che provochi la comparsa di sintomatologia clinica obiettivabile. Tuttavia per la diagnosi, nella pratica clinica, vengono più spesso utilizzati l'anamnesi, i test di laboratorio, la dieta di eliminazione e, in alcuni casi, gli scatenamenti in aperto sotto sorveglianza medica.

La rigorosa eliminazione dell'alimento offendente è la terapia di elezione delle allergie alimentari. Nei casi di reazioni IgE-mediate gravi una problematica da non trascurare è il rischio degli allergeni nascosti(leggere sempre attentamente la composizione dei cibi confezionati).

Per l'importanza che riveste l'alimento latte nelle prime epoche della vita, è previsto l'uso di un sostituto dietoterapeutico. Nei lattanti con APLV(allergia alle proteine del latte vaccino) con sintomi non IgE-mediati, il sostituto di prima scelta è un latte a base di idrolisato di caseina perchè in questi soggetti è elevata l'allergia alle proteine della soia. L'idrolisato di caseina è anche indicato in caso di allergia IgE-mediata nei lattanti sotto i 6 mesi, mentre sopra i 6 mesi può essere utilizzato un latte di soia.

Per quanto riguarda la prognosi delle allergie alimentari, in genere si assiste all'acquisizione della tolleranza, dopo il compimento del 2° anno di vita, verso le proteine del latte vaccino e quelle dell'uovo mentre la sensibilità ad altri alimenti quale pesce, crostacei e frutta secca tende a persistere per tutta la vita.

Infine nel campo della prevenzione alcune certezze:

  • non è utile, anzi potrebbe essere dannosa, la dieta priva di alcuni alimenti nella
    madre gestante;

  • qualche utilità avrebbe questo tipo di dieta nella madre nutrice;

  • di certo l'allattamento al seno deve essere promosso nei b. a rischio di
    sviluppare allergie;

  • in assenza di latte materno l'utilizzo di formule ad idrolisi spinta nei primi
    mesi di vita in b. a rischio allergico è efficace in qualche misura a prevenire
    le malattie allergiche, in particolare la dermatite atopica;

  • l'introduzione ritardata di cibi solidi all'epoca del divezzamento non ha un effetto
    documentato sull'insorgenza di malattie allergiche.


Pubblicato sul n. 1 e 2/2014 del bimestrale di informazione locale del Comprensorio di Capo Vaticano "RicadInforma"(www.ricadinforma.it).