Il pianto del bambino

20.09.2013 09:21

 

Dopo la dimissione del neonato dal Centro nascita, i genitori si trovano ad affrontare a casa tutti quei piccoli problemi che la gestione del nuovo arrivato impone loro: la scelta del latte, la dose e l'intervallo tra i pasti, gli eventuali rigurgiti ed i problemi di digestione, il cambio dei pannolini, l'igiene personale e le cure quotidiane, il bagnetto. E' vero che molti di essi possono contare, almeno per i primi giorni, sull'aiuto di una parente più anziana, che dovrebbe essere anche più esperta ma, spesso, devono contare solo sulle proprie forze perchè non hanno nessuno che li aiuti e, spesso, se giovani sposi al loro primo bambino, l'inesperienza e l'inevitabile ansia genitoriale possono metterli in crisi.

E quando il bambino piange, e i bambini piangono spesso, anche quando apparentemente tutto va bene, come comportarsi se il piccolo non si calma, come agire nel migliore dei modi? In effetti il pianto, specie se prolungato ed inconsolabile, pone i neogenitori in difficoltà perchè impreparati a gestire questa "emergenza" senza farsi condizionare dalla paura di dover affrontare un improvviso problema di salute del proprio figlio.

Il pianto può essere un segno di malattia, è vero ma, nella maggior parte dei casi, rappresenta una manifestazione di eccitazione, condizionata dall'ambiente, con cui il lattante esprime un disagio rappresentato da dolore, fame, sete, caldo, freddo, stanchezza o sovra-stimolazione sensoriale come avviene quando le condizioni ambientali non sono tranquille. Così gli strilli di un neonato che viene alla luce e che esprimono la salute e la vitalità del bambino, sono diversi dalle urla di questo stesso bambino ad un mese di vita, dopo essere stato alimentato, cambiato e cullato.

In genere i neonati piangono poco nelle prime 2 settimane di vita. Tra la seconda e la sesta settimana si assiste ad un progressivo aumento del pianto nel corso della giornata con una media di 2-3 ore al giorno. In seguito la durata del pianto diminuisce fino a raggiungere, alla dodicesima settimana, la media giornaliera di un'ora. I neonati prematuri tendono a piangere di più dei neonati a termine all'età corretta di sei settimane. Per discriminare il tipo di pianto è utile distinguere tra durata, frequenza, intensità e modificabilità dello stesso. A sei settimane d'età la frequenza media è di 10 episodi nelle 24 ore, mentre la durata del pianto è condizionata positivamente dalla costanza delle cure prestate al bambino e dipende, pertanto, dalle diverse pratiche culturali. L'intensità è, invece, più direttamente correlata alla gravità della condizione determinante anche se il pianto per fame, se ignorato a lungo, raggiunge acusticamente l'intensità di quello causato da dolore. Infine un pianto prolungato, non modificabile ed inconsolabile, è più frequentemente correlato ad una causa organica anche a prescindere dalla sua intensità. Per fortuna tale evenienza si riscontra in meno del 5% dei bambini valutati per pianto eccessivo mentre in una discreta percentuale la causa rimane inspiegabile, come dimostrato da uno studio condotto in un gruppo di neonati giunti ad un Pronto Soccorso pediatrico per lo stesso motivo. Ciò non toglie che il Pediatra deve prestare particolare attenzione nella valutazione clinica del pianto di un bambino per differenziare una causa importante, suscettibile di terapia risolutiva, dalle condizioni associate ad un disagio non doloroso destinate a risolversi senza intervento medico.

Fra tutte le cause, il disturbo più frequente responsabile di agitazione e crisi di pianto nei primi 3 mesi di vita, è rappresentato dalle coliche. Di esse possono soffrire fino al 20% dei lattanti altrimenti sani. Le coliche medie-moderate non hanno una precisa causa scatenante, per cui il riconoscimento si basa sui caratteri del pianto, sulla sua ricorrenza nella giornata(più spesso al pomeriggio o alla sera), sulle condizioni generali buone del bambino che presenta una crescita normale e, naturalmente, sull'esclusione di altre cause di pianto.

Ai genitori, che vanno tranquillizzati ed edotti sulla benignità della condizione, non si dovrebbe, però, dire che esse si risolveranno entro i 3 mesi perchè il 15% dei lattanti continuano a manifestarle dopo questa età. I farmaci non sono di alcun beneficio nel ridurre le coliche e dovrebbero essere evitati. Anche gli infusi a base di erbe(finocchio, melissa, camomilla, tè), non sono efficaci, anzi l'uso quotidiano di queste bevande edulcorate, sostituendosi al latte, potrebbe limitare l'apporto calorico.

Un effetto positivo nel porre termine allo stato di agitazione del bambino, è svolto da alcune tecniche di consolazione quali il cullare cadenzato, l'utilizzo di vocalizzazioni, "baby-talking" o di melodie e canzoni familiari, specie se queste strategie sono già state sperimentate con successo nelle settimane precedenti l'inizio delle coliche. In caso di coliche severe e persistenti, sulla base dell'ipotesi di una intolleranza alle proteine del latte vaccino, si è dimostrato utile il passaggio ad un latte di derivazione non vaccinica e, nell'allattato al seno, l'eliminazione dalla dieta materna di latte e derivati. A volte il disturbo viene vissuto come stressante dalla famiglia: la preoccupazione per la salute del bambino, le notti insonni, la persistenza del problema nonostante i consigli del Pediatra, possono innescare un vero e proprio circolo vizioso responsabile della recrudescenza delle coliche.

Anche in questo caso parlare di più con la famiglia, dedicare più tempo all'anamnesi del caso specifico, oltre a ricercare le possibili dinamiche domestiche del disturbo, sono i mezzi che il Pediatra possiede per riuscire a risolvere anche i casi più severi.

 

Pubblicato sul n. 1 Gennaio-Febbraio 2013 del bimestrale di informazione locale del Comprensorio di Capo Vaticano "RicadInforma"(www.ricadinforma.it).